Su
Taranto non cali il sarcofago
Vedere
per l'ennesima volta il dramma di Taranto, città ostaggio dell'Ilva,
ed avere poi ancora voglia di rivedere, non è un bel segnale. Perché
la sensazione di scandalo lascia spazio ad un'altra, amara,
considerazione, vale a dire ringraziare di essere nati altrove, di
abitare, lavorare, vivere altrove. La situazione dei paesi che si
trovano attorno all'impianto industriale può essere resa solo da una
parola divenuta purtroppo concetto: Chernobyl.
Aria irrespirabile,
acqua avvelenata, suolo assassinato. Concepire con il forte dubbio,
che va oltre la naturale incertezza, di partorire figli forse già
condannati alla malattia, di certo destinati alla sofferenza di un
destino segnato. Tutto, infatti, sembra così enorme,
irrimediabilmente intrecciato in una spirale dove i costi, tanti e
gravi, ed i benefici, pochi ma essenziali (come lo è il cibo per
sopravvivere), non riescono a separarsi gli uni dagli altri, neppure
per un attimo. Non ci sarà un sarcofago per l'Ilva e non dovrà
esserci, perché quelle case, vie e piazze, che incredibilmente
ancora brulicano di vita, altrimenti moriranno e sarebbe una
sconfitta per tutta l'Italia, a tempo indeterminato. Chiudere e
dimenticare, no, grazie. Lottare e fare giustizia, questo il cammino
da intraprendere, perché se all'umanità scienza e tecnologia non
sempre e non solo distruzione arrecano, allora un'altra Taranto è
possibile. Ma lo strumento da solo niente può, ci vuole un'abile
mano ad utilizzarlo, una mente lucida e severa a guidarlo, un cuore
enorme per prendere decisioni che sovvertono l'ordine della storia.
Perché, se con l'aiuto di tutti, dei magistrati, della politica, del
capitale e del lavoro, si riuscirà a riconvertire Taranto, con le
pene e i premi necessari a seconda delle responsabilità e dei
meriti, potremo dire che in Italia ha finalmente vinto la
rivoluzione.