Schermi Riflessi di Armando Lostaglio: Breve dialogo intorno al Presepe di Don Rocco
Rionero in Vulture. - A primo impatto appare come un’opera avveniristica,
un’attesa che da primordiale riappare futurista.
“Sì, perché le lampade richiamano l'Oriente ... l'assenza di statue ed
immagini richiama l'Islam ... Forse un simbolo che Gesù è venuto al
mondo per tutta l'umanità anche per i musulmani. Forse un messaggio di
rinascita universale...” E’ quanto asserisce Lucia.
“Prestando attenzione si sente la cascata della buona novella” ribatte
Giovanna.
“Da dove si capisce che è un presepe e non una installazione di quelle che
vediamo a Venezia nella Biennale di Arte...?” Rammenta Donato.
Certo, va visto dal vivo quel presepe che ha realizzato Don Rocco Di Pierro,
nella Chiesa Mater Misericordia; eppure, sapendo che è in chiesa si
intuisce che si tratta di un presepe...
“E se fosse stato allestito in un museo cosa significherebbe? e se fosse
stato in chiesa a Pasqua?” Ribatte ancora Donato.
Tuttavia, offre una sensazione di quiete, luminosa, aurea per via del giallo
imperante e questo è il segno di qualcosa che nasce, un'alba, qualcosa di
nuovo, luminoso e pacifico... E’ comunque una sensazione che suscita
candore solare, un giaciglio che attende un evento, l’Avvento.
Questo e molto altro infonde il Presepe Artistico che Don Rocco offre ai
fedeli (e non solo a loro), capace di regalare emozioni, comprensibili allo
sguardo e all’anima: basta soffermarsi in contemplazione, in qualche
attimo di silenzio. Fili di corda cui sono appese trentatré camice bianche,
candide; e, sotto, dei campanacci, pure essi trentatré. Già, come gli anni di
Cristo, predizione della Vita (e pure della vita terrena) ma solo dopo aver
impregnato e fecondato di Luce l’universo, il Popolo di Dio ad ogni
latitudine, in un cammino inondato di giallo aureo, come la mangiatoia,
ovvero la culla. L’orizzonte è in divenire, evolve come arco temporale, ed è
tutto questo che emana la rappresentazione di don Rocco. Nulla di
oleografico. Di lontano una voce ci sussurra:
“Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo
ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte, diventerà il
sangue di Dio... Ella sente insieme che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo,
che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio, questa
carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa
forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. E’ Dio e mi
assomiglia! ”....
E’ quanto scriveva nel Natale 1940 Jean-Paul Sartre – con finezza
teologica, asserisce il card. Ravasi - nell’opera teatrale “ Bariona ”, quando
era detenuto nello stalag nazista di Treviri (la città tedesca dove nacque
Marx); Sartre, non credente, rappresenterà tale opera con i compagni di
prigionia.
Il Natale è luce, dunque, il sole nascente oltre le tenebre, è il giallo aureo
imperante nel Presepe di don Rocco.
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