Libreria Editrice Vaticana - del lucano Padre Rocco Rizzo, il
confessore del Papa
Ci sono le letture che conferiscono pacatezza, riconciliano con un senso di
quiete e di silenzio, quanto mai necessario in questo tempo assordante di
numeri tristi e angusti. Ci predispone in tale concetto l’addentrarci nel libro di
Padre Rocco Rizzo Il Parroco Santo di Ripacandida – Don Giambattista
Rossi edito dalla Libreria Editrice Vaticana (Tipograph Ottaviano B.L.): ben
340 pagine sulla esperienza mistica ed umana di un sacerdote lucano del
Settecento, don Giambattista Rossi. Figura ascetica che oggi sarebbe quasi
anacronistico riproporla quale modello contemporaneo. E invece emana quel
senso di santità perennemente necessario. Come importanti sono anche le
altre pubblicazioni che Padre Rocco ha dato alle stampe, analizzando
l’importanza della fede nella testimonianza. L’autore è originario di
Ripacandida e dunque conterraneo di don Giambattista Rossi, un paese di
fronte al Monte Vulture (nord Basilicata), dal nome poetico e di antica storia,
Candida Latinorum , che diede i natali ai santi Laviero e Mariano – martiri del
IV secolo -, e a san Donato detto “il paesano” nato nel 1179.
Padre Rocco è rettore del Collegio dei Padri penitenzieri Vaticani dei Frati
Minori Conventuali e svolge il delicato compito di confessore di Papa
Francesco e di Papa Benedetto XVI: un francescano lucano di spiccata
sensibilità, dunque. Ma cosa ha di contemporaneo questo suo libro che ci
porta lontani nel tempo? Ha una vitalità propria ed una autenticità che sfidano
le consuetudini, le mode: ci conduce in una epoca di povertà dove la fede,
quella più genuina, sapeva infondere speranza e lampi di letizia. La
personalità di don Giambattista emerge con quel raro vigore di santità, di
sacrificio e di fratellanza. Era nato a Ripacandida nel 1690, figlio dell'avvocato
Donatantonio Rossi e di Porzia Baffari, una famiglia agiata, alquanto religiosa
che ospitava i pellegrini per la festa del Patrono San Donato di Arezzo. Una
eccelsa misura di cristianesimo che portò anche il fratello maggiore Giovanni
a diventare arciprete. In Giambattista, fin da tenera età, era vivo una
amorevole dedizione al sacrificio, amava stare in silenzio e in preghiera
isolandosi dai compagni, prendeva ad emblema di vita eremiti e testimoni
della fede, praticando le penitenze di San Donatello. Giambattista era di
salute cagionevole; affetto da epilessia, guarì per voto fatto a san Donato. I
suoi riferimenti erano San Pietro d’Alcantara e Santa Teresa d’Avila, delle cui
opere si nutriva costantemente, come pure di San Giovanni della Croce, che
fomentavano la sua vocazione carmelitana. Il giovane portava il cilicio sulla
nuda carne e sul petto una croce di legno con 45 chiodini premendola spesso
sul petto. La sua alimentazione era scarsa, mangiava solo olive, malva, frutti
acerbi, beveva acqua mista ad aceto ed usava per letto la nuda terra. Era
spesso rapito da estasi e specie nella preghiera talvolta si sollevava da terra.
Nel rifiuto del matrimonio, ebbe sempre l’idea di consacrarsi da carmelitano.
Una vita di privazioni e di delusioni (rifiutato nei seminari di Napoli perché
miope e cagionevole) non lo hanno mai abbattuto – qui il suo insegnamento –
anzi lo spronavano ad esercitare con maggior forza d’animo la sua
vocazione. Per acclamazione del popolo e dell'ordine diocesano veniva
eletto arciprete e nel 1731 gli venne affidata la chiesa madre di Santa Maria
del Sepolcro nel suo paese . Era desideroso di costruire un ricovero per le
ragazze esposte a gravi pericoli, con il consenso del fratello don Giovanni:
donò la sua casa natale per la fondazione del monastero delle carmelitane,
era il 1735. Luogo visitato da mistici e da santi come i redentoristi
Sant’Alfonso Maria De’ Liguori e San Gerardo Maiella, originario di Muro
Lucano (Potenza). Anche Sant’Andrea Avellino, di Castronuovo (Potenza)
aveva visto in don Giambattista segni di sacralità. Era dunque aperto alla
solidarietà verso i giovani e i poveri. Era un ascoltatissimo predicatore,
confessore e precursore di Azione cattolica con i ragazzi. Le sue omelie
restano memorabili, divulgate nelle chiese dei vicini paesi che raggiungeva
sempre a piedi: si deve alle predicazioni di don Giambattista se è tuttora
Patrona la Madonna del Carmelo nella vicina Rionero in Vulture.
Una vita da taumaturgo, ascetica e capace di scrutare i cuori, che si concluse
a cinquantasei anni, il 25 ottobre 1746 . L 'elogio funebre fu tenuto
dall'arciprete rionerese Domenico Fusco, il cui testo è riportato nel libro in
copia anastatica. Le sue spoglie sono custodite e venerate nella cappella
del Santissimo Sacramento , in un monumento opera di stuccatori napoletani,
all’interno della c hiesa matrice d i Ripacandida. Molti i miracoli narrati in questi
secoli. Giustino Fortunato, il meridionalista e politico di Rionero in Vulture,
affermò che “nel Settecento il Vulture fu teatro dell'onnipotenza divina, per
opera di due venerabili servi del Signore , l' arciprete di Ripacandida
Giambattista Rossi e il fratello laico liguorino San Gerardo Maiella .” Una
geografia dell’anima che vide nei secoli la presenza qui di altri Santi come
San Vitale, San Guglielmo (che fondò il santuario di Pierno), San Giustino De
Jacobis (missionario nativo di San Fele): il Santo parroco di Ripacandida era
dunque infervorato di una arcaica memoria cristiana. Il corposo testo di Padre
Rizzo, corredato di luminose immagini d’epoca, ha il merito di farci viaggiare
nella storia patria di un luogo fra i più ameni della regione, con la sua
“perseveranza umana e cristiana che non tutti possiedono” scrive nella
presentazione Padre Gianfranco Grieco, anch’egli Minore Francescano (di
origine lucana, di Barile) ed autore di importanti libri sulla fede. Si devono
anche al parroco don Giuseppe Gentile gli ulteriori approfondimenti sulla
storia di Ripacandida, e al collega Michele Rizzo (peraltro cugino di Padre
Rocco) che continua a mantenere viva la memoria del poetico borgo, ricco di
cultura (fra chiese affrescate ed archeologia) e rinomato centro di produzione
di vino, di olio e di miele.
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